Appropriazione culturale
 
 
 
 



Abbiamo parlato delle difficoltà create dall'appropriazione culturale nel contesto del teatro. Quando i personaggi di un'opera teatrale hanno una nazionalità definita, trovare persone di quella precisa nazionalità - Due Gentiluomini di Verona? - per interpretare i ruoli è estremamente difficile e di fatto ridicolo.

L'appropriazione culturale, tuttavia, è ormai un'idea radicata nel mondo delle performance. E la sua ultima e più strana apparizione è avvenuta la scorsa settimana.

Gli Abba erano l'incarnazione del cool degli anni Settanta. Agnetha era bionda e Frida aveva i capelli scuri e ricci. L'ultima iterazione del gruppo è lo spettacolo "Abba Voyage", con ologrammi che eseguono i più grandi successi della band.

Ma negli ultimi giorni è stato riportato che i fan che partecipano allo spettacolo e vogliono vestirsi come le loro eroine hanno il divieto di indossare parrucche in onore della bruna Frida, anche se è consentito indossare una parrucca bionda. I promotori hanno inviato un'e-mail ai possessori di biglietti per dire: "Molti dei nostri ospiti vorranno entrare nello spirito dello spettacolo travestendosi per la loro visita. Ma vi preghiamo di non indossare le cosiddette parrucche "afro". Queste parrucche sono culturalmente insensibili e non sono appropriate per essere indossate in maschera.” I promotori hanno detto che chiunque ne indossasse una non sarebbe stato ammesso.

Il divieto di indossare parrucche era stato nascosto nella sezione "Domande frequenti" del sito web dello spettacolo sin dalla sua apertura nel maggio 2022, ma è venuto alla luce solo ora.

Veramente i fan intendono appropriarsi della cultura degli afro-caraibici o prendere in giro gli afro-caraibici? Ne dubito. Mi sembra molto più probabile che lo facciano per rendere omaggio a una cantante Svedese. Gli afro-caraibici non hanno un monopolio sui cappelli scuri e ricci.


Ma l'appropriazione culturale è oggi disponibile in numerose varietà. C'è naturalmente quella che potrebbe sembrare la semplice questione dell'appropriazione ‘materiale’: la definizione di furto è, dopo tutto, "appropriazione illecita".

Quindi i marmi di Elgin sottratti al Partenone dovrebbero essere una questione semplice da risolvere. Lord Elgin aveva il permesso di farlo? Se no, perché non rispedirli ai legittimi proprietari? Due problemi. Nel 1810 Elgin ha ricevuto un permesso dai funzionari ottomani (turchi) che esercitavano l'autorità ad Atene e l'attuale Grecia dal 1430. Avevano il diritto di concederlo? L'attuale governo greco dice di no, ma l'attuale Stato greco è nato solo nel 1830, quindi non è chiaro quale sia il loro status in relazione ai marmi.

Ammettiamo però che abbiano ragione. Chi ha diritto a riaverli? I marmi del Partenone sono stati prodotti da una cultura che oggi non si trova in nessuna parte del mondo. Lo Stato greco e la sua cultura sono molto diversi dalla cultura dell'Atene del V secolo BCE - una città-stato. Naturalmente, se le sacerdotesse di Atena avessero dato il permesso a un antenato di Lord Elgin, non saremmo in questo dibattito.

Ma l'argomentazione secondo cui i greci contemporanei sono gli eredi della cultura greca antica, e quindi hanno l'autorità di disporre dei suoi prodotti, non è convincente. Esiste infatti un senso in cui la cultura greca antica è diventata l'eredità di tutti gli europei.

Il poeta Percy Bysshe Shelley ha detto: "Siamo tutti greci. Le nostre leggi, la nostra letteratura, la nostra religione, le nostre arti hanno la loro radice in Grecia". Condividiamo tutti la cultura di Socrate e Sofocle. Se è così, allora nessun governo moderno ha diritti esclusivi su questi prodotti dell'antica cultura di Atene.


E poi c'è l'appropriazione culturale ‘non materiale’: per esempio il musicista che canta le canzoni di un'altra cultura o lo scrittore che racconta storie prodotte da una cultura diversa dalla propria. Il che, se ora è inaccettabile, sembra un po' limitativo.

Storie e leggende vengono tramandate da persona a persona e da paese a paese. Shakespeare si sarebbe trovato in grande difficoltà se (in quanto inglese) avesse raccontato delle storie nelle sue opere teatrali provenienti solo dall'Inghilterra. Infatti, come avrebbe potuto conoscere la loro vera origine è tutt'altro che ovvio. E le favole di Esopo sarebbero state confinate in Grecia insieme a tutti gli altri miti greci. I loro autori (chiunque essi fossero) di certo non hanno mai dato l'autorizzazione al loro uso da parte nostra.

Ma il concetto di permesso implica l'esistenza di una forma di diritto d'autore "morale" nei confronti della cultura di altri popoli.

È un po' difficile capire chi faccia parte di questa cultura e abbia quindi il diritto di usarla per diritto di nascita. Come persona nata in Galles ma che ha vissuto per la maggior parte della mia vita in Inghilterra, posso ora unirmi al canto delle canzoni inglesi o devo rimanere in silenzio?

Il diritto d'autore legale dura nel Regno Unito per 70 anni dopo la morte dell'autore. Ma la maggior parte delle persone che si lamentano dell'appropriazione culturale sembra immaginare che il diritto d'autore su opere che non hanno un autore evidente, ma che fanno semplicemente parte di uno sfondo culturale, debba durare per sempre. Un'idea piuttosto strana.

In realtà, quello che stanno dicendo, un po' come i bambini, è: "questo è nostro e non lo condivideremo con voi".


Anche la danza è stata oggetto di critiche quando il ballo non è associato alle origini o alla cultura del danzatore. Beyoncé è stata molto criticata quando è apparsa con i Coldplay in un video qualche anno fa. Ballava nello stile di una danzatrice di Bollywood, ma è di origine afro-caraibica e quindi non indiana.

Il video mostra l'artista vestita con i tradizionali ornamenti Desi mentre interpreta il ruolo di un'attrice di Bollywood in un film, mentre Chris Martin, frontman dei Coldplay, si reca in un cinema locale per vedere quel film. Sicuramente se Bollywood vuole allargare il suo pubblico, il coinvolgimento di Beyoncé non può che essere positivo.

L'appropriazione di cui ci si lamenta, tuttavia, rientra in una categoria leggermente diversa: l'appropriazione ‘stilistica’. Si tratta del caso in cui gli artisti non eseguono opere prodotte da altri, ma ne prendono in prestito elementi stilistici.


Questo ci riporta alla musica jazz o blues, con origine nella comunità nera ma "appropriata" dai bianchi quando hanno iniziato a suonare il blues e il jazz. Lo stile è stato utilizzato non solo da jazzisti bianchi come Bix Beiderbecke e Gershwin, ma anche da compositori classici come Ravel e Shostakovitch. Hanno incorporato il jazz nelle loro opere, e Shostakovitch è andato oltre e ha composto suite jazz. Questo ha messo i musicisti neri in una posizione di svantaggio o ha portato il loro lavoro a un pubblico più ampio, rendendolo così più mainstream?

Ma incorporare elementi di musica o forme musicali di altri compositori non è certo una novità. La musica è internazionale e si evolve da ciò che l'ha preceduta. Dove saremmo stati senza Bach, Vivaldi o l’inglese Thomas Tallis? Handel è nato tedesco ed è morto inglese. Rachmaninov ha utilizzato il canto gregoriano del Dies Irae del XIII secolo come tema in molte delle sue opere più note.

Nella sua famosa Rapsodia su un tema di Paganini, utilizza il ventiquattresimo e ultimo dei Capricci per violino di Niccolò Paganini per produrre 24 variazioni proprie. Ha pensato di chiedere il permesso ai discendenti di Paganini? Dunque, appropriazione culturale o apprezzamento culturale?


Diversi gruppi indigeni, tuttavia, sostengono che non solo la loro arte e le loro lingue dovrebbero ricevere uno status speciale, ma anche la loro scienza - o almeno ciò che passa per scienza. È parte della loro ‘cultura’.

E così il governo neozelandese ha legiferato per l'insegnamento delle credenze maori - i miti - sul mondo e sul suo funzionamento, come parte e alla pari del resto del curriculum scientifico. Un po' come l'insegnamento del creazionismo nelle scuole occidentali.

Ma la scienza vera dipende dall'apertura alla critica. Non può essere fossilizzata in sistemi di credenze, anche se indigene. Normalmente mettiamo la scienza in una categoria diversa da quella delle arti, ma è tuttavia parte integrante della nostra cultura. La sua diffusione e discussione ci permette di avere una visione più razionale del mondo e del suo funzionamento. Se ai tempi del Rinascimento le scoperte degli scienziati non fossero state oggetto di dibattito internazionale, non avremmo fatto gli immensi progressi che abbiamo fatto.

In effetti, la storia della cultura in tutte le sue forme, siano arte o scienza, è fatta di scambi di idee, dai tempi più remoti ai giorni nostri. L'influenza che una cultura può avere su altre culture è sicuramente da accogliere e non da limitare con regole artificiali sulla sua "proprietà". La cultura appartiene a tutti noi.


Paul Buckingham

31 marzo 2023

 
 
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