Discriminazione positiva  
 
 
 



Temo che si torni ancora alla legge. Questa volta è la decisione della Corte Suprema Americana due settimane fa. Si tratta della politica della discriminazione positiva a Harvard. È qualcosa di superficialmente attraente ma che io trovo difficile da giustificare. Normalmente è uno scuso per non avere affrontato le condizioni di vita che producono gli svantaggi per i quali la discriminazione positiva è una cosiddetta soluzione, una soluzione molto più economica, ma molto meno efficace.

L'ammissione a Harvard dipende dai voti, dalle lettere di raccomandazione o dal coinvolgimento extrascolastico di uno studente. Può anche dipendere dalla razza. Il che è positivo se si fa parte di una minoranza definita, e i candidati cercano in tutti i modi di dimostrare di rientrare in questa categoria, ma non altrimenti.

Ma in seguito alla Guerra Civile, il Quattordicesimo Emendamento ha garantito che: "la legge negli Stati sarà la stessa per i neri e per i bianchi; che tutte le persone saranno uguali davanti alle leggi degli Stati". Ciò nonostante, per quasi un secolo dopo la Guerra Civile, la segregazione imposta dagli Stati era la norma in molte parti della nazione. La Corte Suprema ha giocato il suo ruolo in questa storia, permettendo il regime vergognoso "separati ma uguali". Alcune decisioni avevano sottolineato che gli Stati dovevano fornire agli studenti neri opportunità educative pari a quelle degli studenti bianchi - anche se formalmente separate.

Alla fine, però, nel 1954, con la sentenza Brown v. Board of Education, la Corte Suprema ha rovesciato il regime "separati ma uguali". Il diritto all'istruzione pubblica, ha affermato, "deve essere reso disponibile a tutti a parità di condizioni". Negli anni successivi, la decisione di Brown ha raggiunto altri ambiti della vita: le leggi statali e locali che imponevano la segregazione nei trasporti pubblici, la segregazione razziale nell'uso delle spiagge e dei bagni pubblici, e le leggi antimiscela.

Ogni domanda di ammissione a Harvard viene esaminata da un "primo lettore", che assegna un punteggio numerico in ciascuna delle sei categorie: accademica, extrascolastica, atletica, sostegno scolastico, personale e generale. Per la categoria "generale", che è un insieme delle altre cinque valutazioni, il primo lettore può prendere in considerazione la razza del candidato. Quando il comitato completo esamina l'elenco, ogni candidato che ottiene la maggioranza dei voti viene accettato provvisoriamente per l'ammissione. I candidati saranno più numerosi dei posti disponibili.

A questo punto la composizione razziale del gruppo di candidati provvisorio viene utilizzata per garantire che nella selezione finale per un numero stabilito di posti non ci sia un "calo drammatico" nelle ammissioni delle minoranze rispetto all'anno precedente. Chi decide riceve quattro informazioni su ogni persona: status di legacy, status di atleta reclutato, idoneità agli aiuti finanziari e razza. È stato dimostrato che il processo di selezione fa sì che la razza sia un fattore determinante per l'ammissione di una "percentuale significativa di tutti i candidati afroamericani e ispanici ammessi".

La giurisprudenza sulla discriminazione positiva ha impiegato un po' di tempo per svilupparsi. È stata presa in considerazione per la prima volta nel 1978 nella causa "University of California v Bakke". Uno dei giudici ha ritenuto che la giustificazione della discriminazione positiva potesse basarsi sui benefici educativi derivanti da un corpo studentesco razzialmente diversificato. Tuttavia, ha detto che: "le distinzioni razziali ed etniche di qualsiasi tipo sono intrinsecamente sospette".

Di conseguenza, un'università non poteva impiegare un sistema con un numero specifico di posti riservati a un gruppo etnico particolare.

Un'università non poteva nemmeno usare la razza per impedire la considerazione di un particolare individuo. La razza poteva funzionare solo come "un 'plus' nel fascicolo di un particolare candidato", e anche in questo caso doveva essere valutata in modo "abbastanza flessibile da considerare tutti gli elementi pertinenti della diversità alla luce delle qualifiche particolari di ciascun candidato". 

Nella successiva causa Grutter v. Bollinger del 2003, la Corte Suprema ha utilizzato gran parte del ragionamento della decisione precedente. I limiti stabiliti, si è detto, erano intesi a prevenire due pericoli che tutte le azioni governative basate sulla razza tendono a produrre.

Il primo è il rischio che l'uso della razza si evolva in "stereotipi illegittimi". I programmi di ammissione non potevano quindi operare sulla base della "convinzione che gli studenti appartenenti a minoranze esprimano sempre (o anche consistentemente) un punto di vista caratteristico delle minoranze su qualsiasi questione".

Il secondo rischio era che la razza venisse usata non come un vantaggio, ma come un elemento negativo, per discriminare quei gruppi razziali che non sono i beneficiari della preferenza basata sulla razza."

Il caso ha imposto un altro limite molto significativo ai programmi di ammissione basati sulla razza: a un certo punto, ha affermato la Corte, essi devono finire. Riconoscendo che "sancire una giustificazione permanente per le preferenze razziali offenderebbe" la garanzia di uguale protezione della Costituzione, la Corte ha espresso l'aspettativa che, tra 25 anni, "l'uso delle preferenze razziali non sarà più necessario per promuovere l'interesse approvato oggi".

La Corte in questo caso ha anche sottolineato che, come questione di diritto generale, le università devono gestire i loro programmi di ammissione basati sulla razza in modo "sufficientemente misurabile da permettere un controllo giudiziario". Secondo la Corte, ciò non è stato fatto in modo significativo. I vantaggi del profiling razziale presentati da Harvard comprendevano la formazione di futuri leader, l'acquisizione di nuove conoscenze basate su prospettive diverse, la promozione di un solido mercato delle idee e la preparazione di cittadini impegnati e produttivi.

Pur essendo senza dubbio obiettivi lodevoli, non era chiaro come i tribunali avrebbero dovuto misurarli e, anche se fosse stato possibile, come avrebbero potuto sapere quando erano stati raggiunti in modo sufficiente per porre fine alle preferenze razziali. La domanda se un particolare mix di studenti appartenenti a minoranze produca "cittadini impegnati e produttivi" o "formi efficacemente futuri leader" era, a loro avviso, troppo vaga.

Inoltre, i programmi di ammissione non sono riusciti a dimostrare una connessione significativa tra le categorie razziali utilizzate e gli obiettivi perseguiti. Per ottenere i benefici educativi della diversità, Harvard ha misurato la composizione razziale delle ammissioni degli anni utilizzando categorie razziali palesemente troppo ampie (gli studenti dell'Asia meridionale e dell'Asia orientale erano tutti rappresentati come "asiatici"), arbitrarie o indefinite (l'uso della categoria "ispanici") o poco inclusive (nessuna categoria per gli studenti del Medio Oriente).

Il tribunale di primo grado ha constatato che la considerazione della razza da parte di Harvard ha comportato una riduzione delle ammissioni di studenti asiatici-americani. L'affermazione che la razza non è mai stata un fattore negativo nei loro programmi di ammissione non ha quindi senso: la Corte ha affermato che le ammissioni ai college sono a somma zero. Non è che si trovasse un posto in più per qualcuno svantaggiato dalla razza. Quindi, accettare qualcuno a causa della sua razza significava necessariamente escludere qualcun altro.

Tuttavia, nulla ha vietato alle università di considerare come la razza avesse influenzato la vita di un candidato, "purché tale discussione sia concretamente legata a una qualità del carattere o a una capacità unica che il particolare candidato potrebbe contribuire all'università". Il giudice Roberts, esprimendo l'opinione di maggioranza, ha dichiarato: "Molte università hanno per troppo tempo concluso erroneamente che il termine di paragone dell'identità di un individuo non è costituita dalle sfide superate, dalle abilità costruite o dalle lezioni apprese, ma dal colore della sua pelle. La storia costituzionale di questa nazione non tollera questa scelta".

Ma ora c'è un P.S. a tutto questo. Il test del "Legacy status" nella prima fase di valutazione dei potenziali studenti si fa riferimento al peso da attribuire ai figli dei laureati di Harvard. Non che Harvard accetti effettivamente che questo sia un fattore significativo. Il College afferma: "Tra un gruppo di candidati che si distinguono in modo simile, le figlie e i figli di alumni/ae del College possono ricevere uno sguardo aggiuntivo". Ma sembra che lo sguardo aggiuntivo sia in realtà piuttosto importante: circa il 30% degli studenti ha uno o più genitori laureati al College. E questo nonostante la regressione verso la media in termini di "distinzione".

Quindi ora c'è un'altra causa legale che chiede ai tribunali di dire che questa preferenza è di per sé illegale - indubbiamente svantaggia gli afroamericani.

D'altra parte, o forse questo è uno stereotipo, lo "status di atleta reclutato" potrebbe essere a loro vantaggio?

Da tenere d'occhio.

9 luglio 2023

Paul Buckingham

 
 
 Home     Caro Diario      Chi sono?       Guestbook