Il fine della storia e la politica d'identità

 
     
   


Francis Fukuyama ha scritto un altro libro che sarà pubblicato questo mese. In uno dei suoi libri precedenti, "Il fine della storia e l'ultimo uomo", Fukuyama vide la fine della Guerra Fredda e la caduta del muro di Berlino come la fine del conflitto ideologico nel mondo. Ha affermato che la democrazia liberale occidentale era la fase finale ideologica dell'evoluzione umana. La democrazia aveva vinto. Una credenza coraggiosa. Ci ha avvertito nel libro, però, che potrebbe aver sopravvalutato la capacità della democrazia liberale di fornire la pace, la soddisfazione personale. Dice in "Identity: The Demand for Dignity and the Politics of Resentment" (L'Identità: la Domanda per la Dignità e la Politica del Risentimento) che possiamo vedere ora che questa espressione d'incertezza era necessaria. Ha deciso che la difficoltà principale che abbiamo è la percezione fra la gente che la pace e la prosperità relativa, che accompagnano la democrazia liberale, non sono sufficienti. La gente vuole anche la dignità, il riconoscimento delle loro difficoltà personali. L’assenza di questo riconoscimento crea una politica di risentimento. E quindi arriviamo alla politica d'identità così comune oggi. Il suo libro nuovo apparentemente descrive le difficoltà che abbiamo di conseguenza.

Prima di considerare la politica d'identità, tuttavia, dovremmo considerare la sua affermazione originale - che la democrazia liberale occidentale era la fase finale ideologica dell'evoluzione umana. Avendo visto la caduta d’una delle due ideologie principali, (e dobbiamo notare, questo solo nell’Occidente) immaginare che l’ideologia che è sopravvissuta rimanerebbe per sempre effettivamente l'unica ideologia, era una fantasia. Si, la democrazia liberale si è diffusa nel mondo attraverso gli anni, ma non senza delle battute d’arresto. Abbiamo visto in Africa del nord la promessa, non soddisfatta, d’una primavera democratica. Abbiamo visto il risorgimento della Cina. Ma abbiamo visto anche la trasformazione dei paesi - nel passato sostenitori dell'ideologia del comunismo – che si sono trasformati in quell'altro tipo d'ideologia, l'oligarchia. Infatti, si potrebbe dire che l’oligarchia era la vera ideologia dei paesi presumibilmente comunisti da poco dopo la loro fondazione. Quindi, si potrebbe anche dire che la caduta del ‘comunismo’ era solo la caduta del travestimento che indossava. Infatti, mi sembra che, dopo la caduta, esistessero ancora le due stesse ideologie – la democrazia liberale e l’oligarchia smascherata.

Vediamo anche nella sua rivendicazione originale un esempio della confusione di pensiero spiegata chiaramente da Karl Popper nel suo libro ‘The Poverty of Historicism’. Fukuyama immagina che dal presente si possa prevedere come cambierà (o no) la vita nel futuro. C'è la stessa confusione quando qualcuno (come Boris) trae una conclusione riguardo al futuro dalla storia antica. C'è una supposizione di base che le cose si muovono in modi preordinati – un errore comune, ma cardinale. Non c'è nessun apprezzamento della natura caotica della psicologia e della vita umana che ci impedisce di prevedere la situazione più di pochi minuti nel futuro. È vero che abbiamo delle tendenze psicologiche, ma per ogni persona queste tendenze sono da qualche parte su una curva a campana. E la curva a campana varia a seconda della sua età, l’epoca, il suo paese e persino la zona nel paese. E poi, come ha spiegato l’ex primo ministro Harold MacMillan, c'è l’influenza degli ‘avvenimenti’ - “Events, dear boy, events”. Quindi immaginare che una predizione politica sia una forma di verità scientifica è la follia. Può essere solo una possibilità, un desiderio, una paura.

Ma è vero che siamo in un periodo diverso, un periodo in cui ci sono molti gruppi distinti, ognuno dei quali si vede come una collezione di persone collegate da un ingiusto svantaggio personale, non sufficientemente riconosciuto. Hanno dunque un identità speciale, eccezionale, che merita una politica d'identità che risponde ai loro bisogni. Sfortunatamente un'identità speciale è facile da creare. Io sono d’origine gallese, ma costretto a crescere dall'età di 7 anni vicino a Birmingham tra persone (gli insegnati inclusi) con un accento impenetrabile del Black Country. Potrei affermare che sono stato svantaggiato dal trasferimento. E la mia esperienza mi ha fatto un’eccezione nella mia scuola. Ma faccio parte d’un gruppo minoritario che condivide lo svantaggio di essere spostato in un'area in cui gli altri parlano una lingua diversa o con un accento difficile da capire. Potrei invitare i miei compagni di sofferenza a unirsi a me in una campagna per il riconoscimento di questo svantaggio. Potremmo affermare, giustamente, che nessuno che non fosse stato in quella posizione potrebbe capire la vita che abbiamo vissuto come conseguenza - ‘Stranieri del mondo, uniamoci!’ Spesso, tutto ciò che è necessario per creare un gruppo speciale è che non sei bianco. Questa distinzione è alla base dell’accusa di appropriazione culturale. Quando la analizziamo, non c'è niente in un'accusa che, se fatta, per esempio contro i Maori perché copiassero i bianchi, sarebbe considerata ridicola.

Chiaramente però ci sono gruppi che hanno sofferto da molto tempo, anche da secoli, e che soffrono ora da uno svantaggio molto evidente. Hanno il diritto di richiedere che prendiamo in considerazione questo pregiudizio nei nostri atteggiamenti personali e nella nostra politica. Ma anche qui c'è una tendenza a chiedere che ogni membro del gruppo, sia donne che persone di colore, hanno subito lo stesso svantaggio, quando ovviamente non è vero. E c'è il fenomeno recente che è un peccato mortale negare il diritto di qualcuno di agire in accordo con il genere che è rivendicato come il suo genere reale, e questo anche se mette a rischio le donne che sono geneticamente donne. La comunità trans ha, apparentemente, il diritto alla protezione assoluta dovuta a un gruppo minoritario. Ho l’impressione che abbiamo permesso che la politica d'identità diventi un po’ esagerata. Ce ne sono altri che ovviamente non hanno nessuna causa meritoria, che non hanno sofferto uno svantaggio vero, ma che hanno deciso comunque di salire sul treno. E sono ugualmente clamorosi. Non solo le "vite nere contano", ma negli Stati Uniti ora sembra che le vite bianche debbano essere mostrate come importanti nella stessa misura. Le persone che sono vittime del crimine armato hanno una voce, ma coloro che portano armi sono ancora più rumorosi nel chiedere la continuazione di quel diritto ‘costituzionale’.


PJB

3 ottobre 2018

 
 

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