Incongruenza e moralità: l’ipocrisia rivisitata  
     
 

L'altro giorno ho letto un articolo che trattava la questione della nostra incoerenza nei confronti dell'immigrazione. Diceva che la nostra volontà di permettere ai rifugiati ucraini di entrare nel Regno Unito, ma di non permettere alle persone di venire qui da altri Paesi, era ipocrita e quindi, per definizione, immorale.

Ma l'equivalenza tra ipocrisia e immoralità è difficile da stabilire, data l'assenza di una morale assoluta. Sottoscriviamo all'idea di "moralità" perché sembra avere un senso evolutivo vivere secondo regole comuni. Riduce la probabilità di conflitti.

Queste regole si formano nel corso di moltissime generazioni e possono cambiare nel tempo, ma ci sono anche diversi fattori psicologici che ci spingono ad agire in vari modi, come il desiderio di equità e di dare la priorità alla famiglia e agli amici.

L'opinione sulla questione dell'immigrazione, tuttavia, provoca reazioni ampiamente divergenti. Supponendo però che l'opinione segua la solita curva a campana, è probabile che la maggioranza delle persone si collochi in una posizione intermedia per quanto riguarda l'accettazione dei rifugiati.

Quindi, quando adottiamo la nostra posizione morale come individui, abbiamo un ampio margine di manovra nel persuadere noi stessi che le nostre opinioni coincidono con l'opinione ‘generale’ o l’opinione ‘razionale’. Tendiamo a non esaminare troppo attentamente le cose se possiamo convincerci di aver preso una decisione giustificabile.

Ma dopo aver preso una posizione, qualunque cosa sia, tendiamo anche ad attribuire un valore piuttosto alto alla coerenza da parte nostra e degli altri, sia nel pensare che nell'agire. Non farlo significa apparire ipocriti agli altri e anche a noi stessi: da qui la piccola difficoltà di Boris Johnson con il "Partygate".

Abbiamo anche già parlato di dissonanza cognitiva. Ne ho avuto un grave caso quando ho ascoltato Russia Today TV nel periodo che ha preceduto l'"Operazione militare speciale". Sono stato molto sollevato quando è stata tolta la trasmissione. Ma la dissonanza cognitiva si manifesta non solo quando qualcuno spiega qualcosa in modi che negano verità ovvie, ma anche quando noi stessi ci impegniamo nell'ipocrisia. Sembra che la nostra psicologia ci metta a disagio per l'incoerenza inerente all'ipocrisia.

Tuttavia, abbiamo anche sviluppato dei meccanismi che ci permettono di ridurre o persino superare questo disagio. Questi meccanismi entrano in gioco quando la coerenza delle nostre azioni non va a nostro vantaggio e quindi diventiamo più propensi a impegnarci, anche se inconsciamente, nell'ipocrisia. Le nostre due principali linee di difesa sembrano essere la dissociazione e la distorsione cognitiva.

La dissociazione o compartimentazione è la capacità di evitare il disagio emotivo mettendo in qualche modo le opinioni o i fatti incoerenti in compartimenti diversi della nostra mente. La capacità di dissociare però è molto variabile: si va dall'eccezionale facilità con cui lo fa lo psicopatico, alla quasi impossibilità di farlo tra coloro che hanno una ‘natura sensibile’, ovvero quei santi che agiscono sempre e solo per principio.

La distorsione cognitiva è quella sorprendente capacità che abbiamo di trovare distinzioni artificiali o irrilevanti tra le cose per non doverci accusare di ipocrisia in primo luogo ed evitare così la dissonanza cognitiva che altrimenti ne deriverebbe.

Ora, quando il sentimento prevalente nella società è che dovremmo sospendere la nostra ostilità all'immigrazione di certi stranieri - come nel caso dell'Ucraina - allora sembriamo necessariamente ipocriti. Come giustificare l'atteggiamento di accoglienza nei confronti dell'Ucraina e quello decisamente poco accogliente nei confronti dei rifugiati provenienti da molti altri paesi, come la Siria o l'Afghanistan?

Molti commentatori hanno cercato di giustificare la distinzione tra ucraini e altri richiedenti lo status di rifugiato con il fatto che gli ucraini sono molto più "simili a noi". In modo piuttosto inquietante hanno parlato degli ucraini come se avessero gli occhi azzurri e i capelli biondi. 

Charlie D'Agata, un giornalista della CBS, ha scatenato una tempesta su Twitter quando ha detto: "Questo non è un posto, con tutto il rispetto, come l'Iraq o l'Afghanistan, che ha visto un conflitto per decenni. Questa è una città relativamente civile, relativamente europea...dove non ci si aspetterebbe questo o non si spererebbe (sic) che ciò accada".

Un giornalista di Al Jazeera ha dichiarato: "... i rifugiati... sono persone benestanti e di classe media. Non si tratta ovviamente di rifugiati che cercano di fuggire dal Medio Oriente o dal Nord Africa. Sembrano una qualsiasi famiglia europea con cui si vive accanto".

Come ha detto un giornalista polacco: "Questa non è una nazione del terzo mondo in via di sviluppo, questa è l'Europa"! Il primo ministro bulgaro ha dichiarato: "Questi sono europei il cui aeroporto è stato appena bombardato, che sono sotto tiro... Questi non sono i rifugiati a cui siamo abituati... Queste persone sono intelligenti, istruite".

Il ministro degli Esteri ungherese Péter Szíjártó ha giustificato il diverso trattamento riservato dal suo Paese ai siriani e agli ucraini, affermando che: "Devo rifiutare di fare paragoni tra chi fugge dalla guerra e chi cerca di entrare illegalmente nel Paese". La guerra civile in Siria non è allora "guerra"? Tutti questi sono chiari esempi di distorsione cognitiva con un tocco di dissociazione.

Sembra che la causa che spinge le persone a fuggire dal proprio paese, cioè se dà diritto a richiedere lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione dell'Aia, non sia considerata importante da molte persone. Come abbiamo sempre pensato, in molti paesi le decisioni vengono prese sulla base di profili razziali.

Ma si può anche sostenere che, così come si offre più facilmente rifugio a un vicino o a un amico piuttosto che a un perfetto sconosciuto, accogliere rifugiati provenienti da un Paese che ha più punti in comune con il proprio, piuttosto che da paesi con abitudini diverse, è una posizione naturale. Forse dunque dovremmo modificare la Convenzione dell'Aia, anche se non sono sicuro di come.

Ma resta il fatto che nel mondo reale, al di là dei Santi veri e propri, scendiamo a compromessi per tirare avanti come una società. Questo significa che la nostra moralità diviene disordinata.

C'è poi un'analoga difficoltà nel decidere quale azione intraprendere contro l'aggressore, la Russia.

Quelli di noi che dipendono poco dal petrolio o dal gas russo possono facilmente chiedere ad altri con una forte dipendenza di tagliarsi fuori da queste forniture immediatamente. Dovrebbero smettere di sostenere l'impero del male. Chiediamo il sacrificio di noi stessi in nome della moralità, in nome della coerenza. Ma questo potrebbe essere un caso in cui agire con coerenza non è un'opzione. Ciò che nessun governo vuole, è rendere martiri i propri cittadini, condannandoli a sofferenze molto significative in nome di "fare la cosa giusta", quando non sono essi stessi sotto immediata minaccia di guerra.

È probabile che i cittadini pensino in modo diverso, se non immediatamente, quando le difficoltà finanziarie o l'inverno cominceranno davvero a mordere. Se guardiamo alle nostre potenziali sofferenze rispetto a quelle dei cittadini di un altro paese, è davvero sorprendente che favoriamo noi stessi? Il governo democratico non è sempre basato su una forma di moralità coerente.

Gli ipocriti non sono popolari perché di solito nascondono la loro incoerenza per ottenere un vantaggio, reputazionale o altro, a spese di altri. E la nostra inclinazione naturale sembra essere quella di dire che il nostro codice morale dovrebbe sempre comportare coerenza nelle nostre azioni per evitare l'ipocrisia.

Quindi, per quanto riguarda i rifugiati, dovremmo riconoscere l'uguaglianza di tutti coloro che cercano rifugio fuggendo dalla guerra. È vero che la coerenza in queste circostanze può essere considerata come il rispetto dello Stato di diritto, che è alla base del governo democratico ed è quindi vantaggioso per tutti noi.

Tuttavia, è troppo facile affermare semplicemente che l'ipocrisia è un male e la coerenza nelle nostre decisioni è un bene. Questo semplifica eccessivamente le cose. Un assassino seriale sarebbe giudicato coerente, ma se cambiasse strada non lo condanneremmo come ipocrita.

L'evoluzione raramente produce caratteristiche durature che ci danneggiano. Quindi, il fatto che ci sentiamo a disagio di fronte all'ipocrisia, all’incoerenza, ma che abbiamo anche sviluppato meccanismi sofisticati per affrontare questo disagio, forse ci dice qualcosa.

A parte gli estremi psicopatici, credo che ci dica che l'incoerenza è ciò di cui, a volte, abbiamo bisogno. Suggerirei che la capacità di convivere con l'incoerenza comporta un vantaggio in termini di sopravvivenza. Probabilmente impedisce alla società di frammentarsi.

Quindi, anche se non ho una risposta definitiva da proporre alla domanda sull'immigrazione - perché non ce n'è una - forse dovremmo in generale riconciliarci ad essere meno che paradigmi di coerenza.

Forse il disordine della vita conferma la necessità di un certo disordine nella nostra "moralità".

15 May 2022

Paul Buckingham

 
 

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